Il rapporto uomo donna nella trilogia dell’incomunicabilità di Antonioni

L’evoluzione del rapporto umano e la precarietà dei sentimenti descritta da uno dei più grandi registi italiani

Tra il 1960 e il 1962 il maestro Michelangelo Antonioni dirige quella verrà poi definita la trilogia dell’incomunicabilità composta da “L’Avventura”, “La notte” e “L’Eclisse”. A quasi sessant’anni di distanza possiamo però ancora rintracciare tanti elementi di modernità in queste opere, tra le prime ad affrontare tematiche come l’alienazione e il disagio esistenziale e la critica verso il mondo borghese del post boom economico.

Il cinema riflessivo e esistenzialista del regista mette al centro di queste opere tre storie d’amore che descrivono la difficile comunicazione tra uomo e donna e l’eclissarsi dei loro sentimenti. Tutte e tre le vicende vedono come protagoniste delle relazioni non equilibrate, in crisi, dove è generalmente il partner femminile nella posizione più scomoda e sofferente ma anche di maggiore sensibilità e spessore umano. La figura maschile è invece rappresentata in un’accezione più mediocre, arida, a volte anche cinica, ma soprattutto con lo sguardo rivolto al proprio sé, incapace dunque di provare un reale affetto verso la propria compagna. Non a caso il regista dichiara: “Do sempre molta importanza ai personaggi femminili, poiché credo di conoscere meglio le donne degli uomini. Penso che attraverso la psicologia delle donne si possa filtrare la realtà, Esse sono più istintive, più sincere.”

Ne “L’Avventura”, Anna giovane donna in crisi con il fidanzato Sandro scompare durante una gita alle isole Eolie. Durante la sua ricerca e nei giorni seguenti, Claudia, amica di Anna, e Sandro scoprono di provare un’attrazione reciproca. Nonostante le iniziali ritrosie di Claudia, che vive con il costante senso di colpa nei riguardi dell’amica, alla fine i due passano dall’avventura ad una vera e propria relazione. Ma, la notte stessa della loro prima uscita ufficiale come coppia, Sandro si concede una “distrazione”. Claudia però, nonostante il suo cuore spezzato, perdona l’uomo.

Come le altre figure femminili della trilogia, Claudia si interroga sul proprio sentimento e finisce per venirne travolta, cercando costantemente conferme nell’amato Sandro. Quest’ultimo con la stessa velocità con la quale dimentica la sua iniziale storia con Anna, passa dal dichiarare amore a Claudia al divertirsi con la conquista della serata. Tutto ciò sottolinea l’evolversi verso una precarietà e caducità dei sentimenti che fanno posto a parole e promosse ormai vuote. Come riflette Claudia sul treno, tutto cambia e viene dimenticato in fretta, nulla resta.

Anche ne “La Notte” ritroviamo una coppia formata da Giovanni, scrittore di successo, e la moglie Lidia. La vicenda si svolge tutta all’interno di una giornata in cui i due inizialmente fanno visita ad un amico molto malato in ospedale e poi, alla sera, partecipano ad una festa in una villa di un grande industriale. L’unione della coppia si presenta da subito instabile: Giovanni, interpretato dal grande Mastroianni, è spento e indifferente nei confronti della moglie, la quale a sua volta si rende conto di non riuscire a provare più coinvolgimento per il marito, preferendo la solitudine come conforto. Giovanni, nonostante si accorga della melancolia della compagna, ricerca una fugace distrazione nella giovane Valentina (interpretata dalla magnifica Monica Vitti, qui un ruolo marginale rispetto agli altri due titoli).

Il dialogo dei due nel finale del film rappresenta l’ennesimo e disperato tentativo di recuperare un rapporto ormai alle sue ceneri. Giovanni ammette di non aver investito davvero sé stesso nella relazione, di non essere riuscito a dare e soprattutto a donarsi nel senso profondo della parola, forse perché anch’egli troppo centrato sul proprio ego per riuscire a concepire un reale rapporto a due. L’amore ha però così lasciato spazio al dolore, è diventato un eco lontano e sbiadito, e il rapporto sessuale che ne segue appare ormai vuoto, un disperato tentativo causato solo dal terrore della solitudine e dell’inevitabile confronto con sé stessi che ne seguirebbe.

La trilogia si chiude con “L’Eclisse”, film che inizia con la protagonista Vittoria che termina la relazione con il suo compagno architetto, un addio freddo che lascia nella donna un senso di solitudine e apatia. A seguito di questa rottura Vittoria conosce Piero, un giovane e cinico agente di borsa interpretato da Alain Delon.

Il rapporto dei due, per quanto passionale, si caratterizza per la mancanza di sentimento e di un sincero contatto. Vittoria continua sempre a sentire un senso di estraneità nei confronti di Piero, così lontano e con un approccio molto più materialista nei confronti della vita. La comunicazione tra i due può avvenire soltanto a livello fisico per poi, incapace di creare un legame interiore, dissolversi lasciando solo il vuoto dei loro luoghi, come dimostrano gli ultimi significativi minuti della pellicola in cui le intense inquadrature della città si susseguono come a materializzare un’assenza.

Questa bellissima trilogia di Antonioni ci porta a riflettere sul significato dell’amore e sul suo manifestarsi, inteso quasi come un’illusione sterile che lascia intorno un alone di profonda solitudine. La distanza tra l’uomo e la donna si mostra troppo grande per essere colmata e anche il perdono, simboleggiato dalla mano di Claudia sulla spalla di Sandro nel finale de “L’Avventura”, emerge come una passiva accettazione di una fragilità umana insormontabile.

Dottoressa Miriam Reale

Giornalista e studiosa di cinematografia

per contatti: miriamreale.mr@gmail.com

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